Vi proponiamo l’intervista che don Roberto Battaglia ha rilasciato a Radio Vaticana domenica scorsa, 30 giugno 2019, sul suo ultimo libro Un Cristianesimo senza Cristo?
Qui sotto il video presente sul nostro spazio YouTube e visualizzatile anche direttamente qui.
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Al Teatro degli Atti di Rimini, il prossimo lunedì 17 giugno, si terrà l’incontro con la docente della Università Cattolica, prof.ssa Chiara Giaccardi.
Tema il popolo.
L’incontro si colloca all’interno del ciclo “le parole che dividono”, di cui vi forniamo qui il file audio e il video del secondo incontro, relativo alla parola tradizione.
L’incontro con Mons. Morandi ci ha colpito profondamente per vivezza, pertinenza con la vita concreta, approccio alle problematiche contemporanee. Nell’età della post modernità e della post verità, Morandi ci ha testimoniato che esiste una vita inattaccabile, che non dipende da alcuna concettualizzazione irrigidita, da nessuna verità predefinita, ma è “una vita che ci raggiunge”.
Per questo abbiamo pensato di trattenere la sua relazione, nelle forme più comode di fruizione: qui sopra il video, grazie alla gentile concessione di Icarotv, e qui sotto l’ audio. Stiamo lavorando per una trascrizione della relazione.
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Domenica, 19 maggio, alle ore 21, presso il teatro Tarkovskij, sarà a tema l’Europa.
In prossimità delle elezioni europee è chiara un’urgenza: l” Europa va ricostruita. Da dove partire?
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don Roberto Battaglia
Don Roberto Battaglia presenta il suo libro Un Cristianesimo senza Cristo? mercoledì 15 maggio, presso il Teatro del Seminario vescovile “don Oreste Benzi”, via Covignano 259, Rimini.
L’appuntamento è per le ore 21. Interverranno Ezio Prato (docente di Teologia Fondamentale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale), Manuel Mussoni (Presidente dell’ Azione Cattolica diocesana), Mario Galasso (Direttore della Caritas Diocesana).
Modera Simona Mulazzani, Direttore di Icaro TV e docente all’ ISSR “A. MArvelli”.
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Martedì 5 febbraio al Teatro degli Atti incontro con don Carlo d’Imporzano e don Adamo Affri. Primo appuntamento del ciclo “Le parole che dividono”.
Un sacerdote, don Carlo d’Imporzano, da anni in Cina, che dirige una onlus che coordina progetti sociali di sviluppo in diversi Paesi, progetti che hanno come protagonisti gli stessi beneficiari. Insieme a lui un secondo sacerdote, don Adamo Affri, cappellano nel carcere di Piacenza, responsabile della comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini. Sono i protagonisti dell’incontro sul tema “Identità. Nel dialogo, chi siamo” organizzato dal centro culturale Il Portico del Vasaio per martedì 5 febbraio alle ore 21,15 al Teatro degli Atti di Rimini.
L’incontro è il primo di un ciclo dedicato a “Le parole che dividono”, cioè le parole sul cui significato esiste un dibattito culturale particolarmente acceso. Le parole individuate sono popolo, tradizione, paura e, per l’incontro di martedì 5 febbraio, identità.
I due relatori sono entrambi impegnati in situazioni (la Cina, il carcere) dove l’incontro con la diversità umana, sociale e culturale è esperienza quotidiana. A loro sarà chiesto di raccontare come l’incontro con un altro così diverso da noi può diventare l’occasione per scoprire chi siamo e cosa siamo chiamati ad essere nel mondo.
Nella consapevolezza, come dice papa Francesco, che l’identità “non è un dato che viene stabilito, non è un numero di fabbrica, non è un’informazione che posso cercare su Internet per sapere chi sono” e che “Non siamo qualcosa di totalmente definito, stabilito. Siamo in cammino, siamo in crescita”.
Brevi note sui relatori
Don Carlo d’Imporzano (foto a lato) è nato a Milano nel 1945. Laureato in matematica nel 1969 e licenziato in teologia nel 1970, ha svolto attività di docenza universitaria in Italia e all’estero, di ricerca con il CNR, è stato Presidente dell’Università EUROCOL di Bogotà – la prima Università Interattiva via videoconferenza per le fasce più povere della popolazione colombiana.
Nel 1994 fonda la Fondazione Monserrate che realizza progetti sociali, sanitari, educativi e di alta formazione in Europa, Asia e America Latina per la quale è responsabile dei progetti internazionali e Chief Representative in Cina, dove risiede dal 2003.
Don Adamo Affri (nella foto sotto), 50 anni, originario di Crema, è un sacerdote che ha scoperto la propria vocazione sacerdotale vivendo in una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, dove tuttora abita. Ordinato sacerdote a 40 anni, svolge il proprio ministero fra i detenuti del carcere di Piacenza. È anche responsabile della comunità riminese della Papa Giovanni XXIII.
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Inizia con la sera di martedì 5 febbraio, alle ore 21.15 presso il Teatro degli Atti di Rimini, un ciclo di incontri dal titolo Parole che dividono.
L’incontro del 5 febbraio sarà con don Carlo D’Imporzano, testimone dell’incontro con l’altro da una regione del globo tra le più distanti culturalmente dal nostro stanco Occidente, ovvero la Cina.
Accanto a D’Imporzano interverrà don Adamo Affri, responsabile riminese della comunità papa Giovanni XXIII e cappellano del carcere di Piacenza.
Due testimoni di quanto l’altro, nella sua accezione più ampia, sia costituivo della propria identità, mai da smarrire e mai da mettere tra parentesi, come il papa insegna nel suo video messaggio del 3 novembre del 2018 ai partecipanti del terzo incontro mondiale dei giovani promosso dalla Fondazione “Scholas Occurrentes”. (OOAK Artist Rabbit Happy Teddy bear).
“Non puoi andar negoziando la tua identità per incontrare l’altro, non puoi truccare la tua identità, non la puoi mascherare, perché la vita non è un carnevale, è una cosa molto seria. E un incontro deve essere serio, con molta gioia, ma serio dal cuore. La parola identità non è facile. È la domanda del “chi sono io”. Ed è una delle domande più importanti che ci si può fare: davanti a se stessi, davanti agli altri, davanti a Dio, davanti alla storia. Chi sono io?”
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Una domenica all’insegna dell’arte, grazie alla visita organizzata dal Portico del Vasaio alla mostra fotografica di Ferdinando Scianna, a cui seguirà un percorso all’interno della città di Forlì (vedi programma in basso).
Con Carlo Pastori e Marino Zerbin
Poesie di Franco Loi (per gentile concessione dell’autore)
Arrangiamenti per d’archi di Walter Muto Regia di Carlo Rossi
L’allestimento mette in scena, in forma di racconto teatrale con canzoni, la storia di Andrea, barbone parigino toccato dalla Grazia di un Incontro con un benefattore che, a patto che la somma venga restituita alla piccola S. Teresa nella chiesa di S. Maria di Batignolles, gli offre una somma in denaro di cui poter disporre liberamente.
Andreas si avvicinò barcollando, s’inchinò alla bambina e le disse: “Che cosa fai qui?” “Aspetto i miei genitori che escono ora dalla messa, vengono a prendermi. E questo succede ogni quattro domeniche” lei disse, ed era tutta intimidita dall’uomo anzianoche le si era rivolto così d’improvviso. Aveva un po’ di paura di lui. Andreas le chiese: “Come ti chiami?” “Teresa”, rispose lei. “Ah,” esclamò Andreas “ma questo è bellissimo! Non avrei mai pensato che una così grande, così piccola santa, una così grande e piccola creditrice mi concedesse l’onore di venirmi a cercare, dopo che io ho tardato tanto ad andare da lei.” (…) Da tanto tempo io le devo 200 franchi, e non mi è più riuscito di restituirglieli, signorina santa!” “Lei non mi deve affatto dei soldi, ma io ne ho un po’ nel borsellino, li prenda e vada via, che stanno per arrivare i miei genitori”. E con ciò tolse dal borsellino 100 franchi e glieli dette.
La piccola santa libera Andreas del peso del suo debito – Lei non mi deve affatto dei soldi -, lo libera “dal peso di quel limite che l’uomo trova dentro tutto quello che fa”.
Ma non solo.
Andreas al momento di questo suo incontro con la bambina ha già ritrovato per l’ennesimo ‘miracolo’ i soldi necessari per ripagare il suo debito, e il dono di Teresa ha davvero la consistenza del centuplo, di un anticipo sulla eredità promessa.
L’idea di seguire insieme uno spettacolo per prepararsi al Natale è perché una rappresentazione teatrale – che accade sempre nuova ogni volta che si ripete – non chiede una comprensione distaccata, ma proprio quella immedesimazione alla quale don Giussani tante volte ci ha invitato (“immedesimarsi vuol dire abbandonare la posizione in cui si è”); aiutandoci così a riscoprire come la grazia della Sua presenza riaccada continuamente nella nostra vita.
“Nella Evangelii Gaudium papa Francesco scrive che «diventare un popolo richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia».
Come nasce e si sviluppa questo processo che porta alla costruzione di un popolo? Chiara Giaccardi, docente dell’Università Cattolica di Milano, ha provato a rispondere alla domanda nel corso della serata organizzata dal centro culturale Il Portico del Vasaio, a conclusione del ciclo sulle parole che dividono. E lunedì sera la parola di cui ricomprendere il significato era appunto la parola popolo. Già nel ’68 Paolo Vi aveva lanciato un grido allarmato «Dov’è il “Popolo di Dio”, del quale tanto si è parlato, e tuttora si parla, dov’è?». E oggi ci si potrebbe chiedere dov’è il popolo socialista, dov’è il popolo laico? I soggetti e le identità popolari che hanno costruito il tessuto sociale del nostro Paese sembrano essersi liquefatti in una società dove esiste solo la somma di tante solitudini.
Giaccardi nella ricerca del nuovo punto di inizio di una forma dello stare insieme che non sia la somma di tanti io, è partita dal dominio della ideologia individualista, giudicata come una grande trappola, meglio ancora come un’astrazione. La pretesa di un uomo che si concepisce del tutto autonomo, indipendente, che si costruisce da solo, cozza contro la realtà: siamo un insieme di relazioni e solo attraverso le relazioni avviene il processo di individuazione di cui parlava Jung, cioè l’emergere della persona. Oltretutto le relazioni che più influiscono sulla nostra vita sono quelle che non scegliamo, i genitori, i figli, il contesto sociale e culturale.PORSCHE 956 Canon 24h Le Mans 1983 Palmer Lloyd Lammers 1 43 MODEL MINICHAMPSJM2143693 Motormax MTM79163R FIAT NUOVA 500 2007 rojo 1 18Corgi 1 72 Scale AA33414 - Westland Sea King HAR.3 RAF 78 Sqn. Falklands 1990.
Se il modello individualistico di società che ben conosciamo è un modello astratto, cioè che astrae dalla concretezza della vita e dei rapporti, non se ne esce contrapponendovi un altro modello astratto, come potrebbe essere il comunitarismo o quello che oggi va più di moda, il populismo, visto come il tentativo di una risposta sbagliata, perché fondata sulla paura, ad un bisogno di relazioni protettive.
Non c’è un modello astratto – ecco il passaggio fondamentale – ma solo la concretezza della nostra esistenza. Le relazioni non possono essere fabbricate, non sono un oggetto che si possa comprare sul mercato. L’individuo fabbrica, mentre la persona genera. Generatività è una parola chiave nel pensiero e nell’esperienza personale di Chiara Giaccardi, madre di cinque figli ed impegnata in un’associazione che pratica l’accoglienza di migranti e stranieri. Insieme al marito Mauro Magatti vi ha dedicato un libro, Generativi di tutto il mondo unitevi.
Generare significa prolungare se stessi, incontrare l’altro, consentire la nascita di un’alterità. Generare vuol dire essere aperti all’imprevisto, ad-ventura, cioè al futuro, mentre l’individuo vive nell’eterno presente. La libertà sta nel mettere al mondo, non nello scegliere ciò che già c’è.
Giaccardi ha fatto riferimento anche al pensiero della tensione polare di Romano Guardini, al quale ha pienamente attinto anche Bergoglio. Ogni nostra azione, per esempio, è un impasto di attività e passività, non c’è solo l’una o l’altra. Trasferendo questo pensiero polare ai rapporti tra le persone, si scopre che l’altro è dentro di noi, non è esterno a noi.
Una lunga premessa per affermare che l’idea di popolo può rinascere come frutto del riconoscimento delle relazioni costitutive della nostra vita. Si tratta di curare e far fiorire le relazioni che già ci sono. Il popolo nasce da un’esperienza di ospitalità (l’ombelico è lì a dimostrare che noi stessi nasciamo in quanto ospitati da un altro) e di esodo, di uscita da noi stessi per incontrare l’altro. È l’incontro fra diversi che genera. Si tratta di cominciare partendo da un sì all’imprevisto che si affaccia sulla nostra vita. Non da soli, insieme ad altri, così si vive l’esperienza di una realtà aumentata, non dalla tecnica ma dalle relazioni.”